Il Castello della Zisa o anche Palazzo della Zisa oggi inteso semplicemente la Zisa, prese il nome dall’arabo al-ʿAzīza, ovvero “la splendida”.
Il Castello della Zisa è l’esempio più rappresentativo di architettura fatimida di età Normanna.
La costruzione dell’edificio fu iniziata nel 1165 da Guglielmo I detto “il Malo” e fu portata a termine dal figlio Guglielmo II detto “il Buono” intorno al 1175.
Scrive Michele Amari nella sua Storia dei musulmani in Sicilia: “Guglielmo … rivaleggiando col padre … si mosse a fabbricare tal palagio che fosse più splendido e sontuoso di que’ lasciatigli da Ruggiero. Il nuovo edifizio fu murato in brevissimo tempo con grande spesa e postogli il nome di al-ʿAzîz, che in bocche italiane diventò «la Zisa» e così diciamo fin oggi”
Il Castello della Zisa che sorgeva fuori dalle mura della città di Palermo nel parco Normanno “il Genoardo” o paradiso in terra, fu residenza estiva dei re normanni.
Il progetto del Castello della Zisa, concepito per essere la dimora estiva dei re, fu realizzato da un architetto di matrice culturale islamica, profondo conoscitore di tutta una serie di espedienti per rendere più confortevole questa struttura durante i mesi caldi dell’anno: dall’esposizione a Nord-Est alle finestre che favorivano il muoversi dell’aria attraverso le stanze del palazzo, alle fontane che inumidivano opportunamente l’aria rendendola più fresca e respirabile.
Gli appartamenti ai piani primo e secondo erano residenze private della famiglia reale, mentre le sale del piano terra accoglievano le manifestazioni di corte: feste, concerti, spettacoli vari.
Il Castello della Zisa, i cui proprietari potevano fregiarsi del titolo nobiliare creato dai re di Spagna di “Principi della Zisa”, nel 1955 fu espropriato dallo Stato per avviare i necessari lavori di consolidamento e restauro.
Il restauro del Castello iniziò in effetti solamente nel 1971 dopo il crollo di un’intera ala conseguente al terremoto del 1968.
I lavori furono completati nel 1991 ed oggi il Castello della Zisa, restituito al suo antico splendore, è meta continua di turisti che rimangono affascinati non soltanto dalla solida fattura del palazzo, ma soprattutto dall’armonia degli ambienti collegati tra loro da passaggi e scale molto suggestivi.
Al piano terra dell’edificio è possibile visitare la mostra permanente del progetto di restauro.
L’esterno è ancora da recuperare completamente ma l’interno è stato ripristinato con interventi discreti e rispettosi dell’originale stato.
Nella fase di restauro, da studi effettuati dai tecnici progettisti, venne fuori una particolarità; le aperture della facciata principale corrispondevano armonicamente ad una partitura musicale: raffinatezze di un’epoca incredibilmente piena di fascino.
L’incrocio di culture e tecniche diverse, tipiche del periodo a cui risale la costruzione della Zisa ha sicuramente contribuito alla realizzazione di un’opera architettonica, nel suo genere, unica ed irripetibile.
Entrare dentro il Castello della Zisa è un’esperienza magica: di colpo ti senti proiettato in tempi lontani e pieni di fascino. Ci si prova ad immaginare che tipo di vita conducessero questi Re che avevano il privilegio di riposarsi nella frescura delle spesse mura, tra il fruscio dell’acqua zampillante dalle fontane e delle peschiere che si trovano davanti all’ingresso principale, e passeggiare tra l’ombra discreta di giardini rigogliosi e profumati.
All’interno si trovano esposti rari esempi di arte araba normanna, ma la cosa che più attira i visitatori sono i così detti “diavoli della Zisa”. Si tratta di un affresco dipinto nell’intradosso dell’arco di ingresso alla sala della fontana, e raffigura personaggi mitologici detti “diavoli “ perché risulta estremamente difficile contarne l’esatto numero.
Una leggenda popolare racconta che nel Castello è nascosto un tesoro in monete d’oro custodito appunto dai diavoli che, con i loro continui movimenti impediscono a chiunque di contarli esattamente e quindi di risolvere l’arcono secondo il quale contando esattamente i diavoli il tesoro verrebbe trovato e con ciò terminerebbe la povertà a Palermo.
Giuseppe Pitrè ascrive la difficoltà di contare esattamente i diavoli della Zisacon il fatto che alcune delle figure sono molto piccole e altre non intere, cosicché c’è chi li conta e chi no con la conseguenza che persone diverse non arrivano alla stessa conclusione.
Questa leggenda ha generato un modo di dire popolare: “E chi su, li diavoli di la Zisa?” (E che sono, i diavoli del palazzo della Zisa?), termine adottato a Palermo quando non tornano i conti.